Le sconfitte di Napoleone
La tomba di Napoleone non l’ho veduta di persona. A Parigi ho incontrato le tombe di Voltaire, di Rousseau, di Skłodowska e di Hugo; non quella di Napoleone. Gargantuesco e pantagruelico (!) l’appetito di tanto porfido rosso! Un volume smisurato solido per un corpo piccolo tanto quanto un qualsiasi corpo umano.
Davanti alla tomba di Napoleone che sovrasta in altezza quattro uomini non mi sovvengono le vittorie di Napoleone ma la sua ultima sconfitta: quel tipo di sconfitta che in vita non è possibile riscontrare, perché terminale, sensibile solamente al termine della vita stessa; Napoleone non sarà mai tanto immortale quanto avrebbe desiderato essere. Non: non sarà mai immortale come aveva desiderato (vero per certi versi, inesatto per altri: morto, sì, ma solo nella coscienza di chi l’abbia avuto vicino in vita, così com’è vero per qualsiasi altra persona – che differenza apporta la morte di chi non hai fatto esperienza in vita? Una morte apparente o vita raccontata non distano) ma non tanto quanto avrebbe desiderato, cioè non effettivamente divino. Chissà. Tanto spreco di porfido (porfido o imitazione?) per una persona sola e per il gusto di perseverare nelle coscienze altrui lungo il brevissimo periodo di pochi secoli.
Pochi secoli non bastano ad una stalammite per estendersi di millimetri. Che cosa vogliamo mai fare noi, che non siamo roccia?
(Forse la reazione è proporzionale soltanto alla misura in cui ci si trova feriti dal constatare che l’ambizione altrui non è più vile della propria. Questa sera ogni forma di ambizione mi sembra olezzare di zolfo.)
12 ottobre 2022
Sulla scrittura I
Non è dubbio che la percentuale di persone che si approcciano alla scrittura o, in maniera compiuta, arrivano a pubblicare qualche proprio scritto è aumentata in maniera molto forte nell’ultimo secolo o poco meno.
Mi rendo conto della poca veridicità della prima espressione, o meglio della sua incertezza. Non si può determinare con alcun grado di sicurezza, nel limite della coscienza della poca diffusa scolarizzazione e alfabetizzazione, chi fosse appunto in grado di scrivere versasse questa propria capacità nello stilare un diario personale come forma di auto analisi. Alcuni di questi diari sono stati poi pubblciati, se non dagli scrittori, da qualche altro amico o storico nel caso di personaggi rilevanti – e non. Ad ogni modo l’atto della pubblicazione di un diario, se non avviata dallo scrivente stesso, non è da considerarsi intenzionale quando attuata da qualcun altro che si sia trovato in facoltà di occuparsi di queste scritture.
Questa stessa è una bozza che precede lo stilamento di un più compiuto e accessibile saggio a riguardo, limitatosi all’esperienza descrivente/scrivente che solo lateralmente tange quella del lettore e della biblioteca.
Si scrive per differenti ragioni. Alcune di queste, o almeno la premessa che spiega le mie, sono già state accennate in uno degli articoli precedenti, forse il primo davvero che sia stato posto qui. Si trattava però di inclinazioni personali e assolutamente particolari rispetto a quel dato progetto.
Esiste la scrittura come forma di autoanalisi, e di autogodimento o passatempo (“In treno porto sempre il mio taccuino: bisogna pur aver qualcosa di fantasmagorico da leggere”); e la scrittura come comunicazione, figlia istruita del parlato. Parlato si intende non interiore ne delirante ma estroverso e significativo.
Se è ovviamente lecito scrivere-pensare qualche ovvietà precedentemente espressa, è però altrettanto lecito scrivere-pubblicare la stessa? Non si intende un esempio in buona fede, ovvero lo scrivere-ideare qualche cosa di cui non si conoscono i limiti storici, perché laddove l’ignoranza sopperisce alla personalità non c’è maniera di determinare quanto già stato fatto. Esempio: può essere che queste ovvietà da me ripetute siano pari ad un prodotto pubblicato in altro luogo in altro tempo, oppure anche solamente compite e poi perdute nel tempo stesso.
Non si intende nemmeno il plagio vero e proprio. Si intende invece la limitatezza nella conoscenza, ovvero: giungo ad una conclusione, trovo che è già stata condivisa; prendo coscienza del fatto che questa conclusione sia già stata espressa, ma non rinuncio al mio diritto di esprimere la stessa. Questo si estende alla dimostrazione di data conclusione quando la stessa è conosciuta.
Va da sé che una forma tale in opera matematica non ha alcun senso. Discopro io una proposizione: la dimostro così com’è stata precedentemente dimostrata. Ora, non ha alcun senso che io pubblichi questo, anche perché relativamente facile constatare se nella letteratura questa mia pseudo-scoperta abbia un precedente identico.
Quando invece si parla di un proprio pensiero non strutturato–e che cosa rimane? Forse, ma stentatamente, la filosofia: negli ambiti della coscienza si scade velocemente nella più nera malafede: sicuramente nel romanzo e nella poesia, nella supposizione, nell’immaginazione. Ecco, indirizziamo il tiro: è lecita o significante la ripetizione nell’opera immaginativa-raziocinante non filosofica?
Non si esclude che questa parte di ragionamento sia parte integrante stessa della supposizione, cioè soggetto e oggetto dell’elaborazione.
22 maggio 2022
Lapalisse: ammetto l’assurdo
Scendere a patti con se stessi è necessario. Negarsi a se stesso e sottrarsi la padronanza dei propri difetti tolgono all’individuo gran parte della propria capacità di autodeterminazione. Questi vizi cedono la mano all’intervento esterno, ma soprattutto rendono fragile l’individuo, che, sempre temendo l’intervento esterno, in procinto di avvertirlo balenare su di sé laddove questo forse nemmeno esiste, non vivrà con serenità l’interezza del proprio essere, ma anzi svilupperà verso questa un terrore inconsapevole.
[…]
Sento lasciando ogni volta lo studio di non aver studiato abbastanza—come non avendo approfondito qualcosa di già iniziato, come non avendo bevuto tutto il caffè caldo oppure terminato di ascoltare l’opera bella. Come se un piacere mi venisse sottratto.Capita ogni singola volta: forse è qualcosa di patologico o forse il sintomo collaterale, paradossalmente confortante, della maturazione nei tempi di concentrazione più lunghi e della fame di studio che torna.
stavo lí lí per scrivere: “l’angoscia diminuisce”, ma in procinto di farlo le mani subito tremano e vacilla anche il battito; sarà per la prossima volta.
non ho una briciola di competitività (positiva) nel corpo. Fa di me una persona costruttivista.
Però qualche progresso lo vedo e non voglio negarmelo. Anche smettere di fantasticare sul nulla e fare i conti con la propria inadeguatezza è pur sempre un far di conto, se anche meno faticoso di altri, e la supponenza di poter fare molto deve sempre accompagnarsi alla consapevolezza di saper fare quasi niente. Così si va riscoprendo Socrate eccetera eccetera. Allora ipotizzo di aver sempre chiamato studio la sanissima ossessione del mio amore verso certi argomenti più o meno disparati, e che lo studio, quello vero, sia un’altra cosa, ovvero l’amore stesso dell’ossessione necessaria a portare dentro di sè quello che ne è sempre stato fuori. Ho sempre svolto ricerche profonde verso nicchie poco frequentate per cui per altri il confronto con la misura della mia effettiva conoscenza ha sempre costituito un paragone arduo da quantificare. Come una persona adulta, adesso, debbo ammettere di essermi incurabilmente non-bastevole: sarò per sempre bambina terminale verso il Tutto e non aver timore di essere scoperta.
17 ottobre 2022
A proposito di diari
Tengo su per giù un paio di diari. Quello onorato è un quaderno cartaceo rilegato che porta incisa la partitura dell’Erlkönig di Schubert, con segnalibro a nastro rosso e foggia blu iridescente. Non è un oggetto artigianale ma ricade nell’intersezione di quei prodotti industriali altamente personalizzati—che non ho ancora valutato se sia lodevole o triste, decisione poco interessante finché i prodotti sono gradevoli e utili. L’acquisto di questo diario l’ho programmato ed è stato effettuato qualche mese fa—l’etá! Non ricordo se fosse addirittura l’anno scorso, e che sia testamento della confusione di quei giorni—a Pisa in questa maniera: stazione di Pisa, polo Fibonacci, Corso Italia, polo Fibonacci; a piedi, in ritardo sulla lezione. Chi conosce la città saprà valutare se un desiderio così sommariamente eseguito abbia avuto un senso. Insomma, questo diario è il Diario ed è cartaceo. L’ultima entrata è datata ad un generico Giugno 2022; prima di questa, giorni di aprile.
Tengo poi (stavolta in senso quasi letterale: supporto sullo smartphone) un diario digitale, i cui contenuti sono stati travasati da un altro diario digitale che a suo tempo aggiornavo con regolarità. Lo utilizzo per le foto perlopiù. Il mio archivio è personale e sui social gocciola residui che non sono un decimo del suo corpo—fotografo molto, in alcuni casi considerando quanto ritraggo e in molti altri per fermare un frammento temporale—che sfoglio spesso con amici al fianco. Questo diario è più simile ad un cestino: c’è affollamento, c’è anche disordine.
Il calendario (anche di quello ne tengo due copie, uno cartaceo a muro e l’altro virtuale) assume da sè certe innegabili caratteristiche di diario, ma siccome nessuno chiamerebbe mai diario un calendario e viceversa consideriamo i due oggetti sufficientemente distinti da indossare il paraocchi e proseguire coi libri in mano.
Il blog D’idilli e di pinakes così come questo blog informale (ffoco.tumblr.com) non sono diari. Ritengo la pubblicazione negli spazi virtuali sempre più vicina alla pubblicazione editoriale che alla stesura di un diario, nonostante la bassa aspirazione contenutistica di alcuni social o dei loro avventori.
Sia nel Diario che nel blog principale ho trovato un vuoto consistente per i mesi di Aprile, Maggio e Giugno. Non sono stata male in quei mesi; tutt’altro: sospetto anzi questo, che la fortissima avversità—quasi fisica—avvertita negli ultimi mesi ogni qualvolta mi sono avvicinata alla pagina bianca sia derivata da un istinto di auto-preservazione. Temendo di scompigliare l’ordine precario della mia persona, non ho ardito scandagliare in lei nemmeno per fissarne le impressioni private. Ora mi sarebbe piaciuto ripensare quanto ho pensato nei mesi passati, ma non posso: almeno non più, almeno supponendo che io non pensi adesso quello che pensavo allora. Non c’è modo di dirlo: non lo ricordo piú.
In quei mesi non ho fatto poche cose di poco peso. Non fatico a ricordare i fatti: a casa la vita benedetta con mia madre, e a Bologna l’incontro con Vivica Genaux, la frequentazione con Carlo Vitali, le raccomandazioni. Sono i pensieri il problema. Nemmeno ora faccio poco: ho un esame in vista (di cui non riesco a prevedere l’esito, ma il cui materiale mi piace); oggi ho dato le mie prime ripetizioni di matematica, che male non fa; sono volontaria di un collettivo freschissimo e socia di un’associazione storica in cui mi si prospettano incarichi rilevanti; ho due viaggi non brevi in programma e un coniglietto che mi rallegra il cuore quando dorme sopra di lui.
Eppure i fatti non mi bastano,
e alla me di ieri avrei voluto chiedere che cosa abbia pensato proprio mentre riteneva che i suoi pensieri non fossero meritevoli di essere ricordati.
Gli scritti come questo non sono rivisti e non nascono (o almeno non muoiono) per essere letti sul mio vero blog, lucreziaignone.wordpress.it — si chiama D’idilli e di pinakes. D’idilli e di pinakes si chiama anche il tag con cui cercare i miei scritti in questa pagina, auspicando la possano presto prendere d’assalto e asservirsi ad un vero, astratto diario umano.
30 giugno 2022
Molti ambiti della sociologia contemporanea sul web, e questo è un nome forse inadatto che serve soltanto a racchiudere tutto il dialogo online riguardo colpe ereditarie di popoli, forme di razzismo eccetera, sono dominati dal pensiero d’odio. Tutto diventa declinazione di odio: mi pare che si legga il mondo, o le sue dinamiche, al contrario. Dalla pozza alla sorgente e non il contrario.
L’odio non sarà mai più forte del potere. Eccedendo dalle dinamiche strettamente interpersonali, il sentimento d’odio di un uomo non sarà mai più forte del desiderio di potere. Per certi versi l’odio stesso, o la sua attuazione, discende da un desiderio di strapotere sull’altro, ma esula dal discorso…
Fra genti, razze, dinamiche commerciali e di appropriazione, proprietà e governo non sgorgano dal cuore di un uomo putrido. La peggiore discriminazione sgorga dal più misero conflitto di potere. Laddove l’odio e la sua esplicitazione può diventare strumento, così non è per il desiderio di potere, che può essere espresso ma mai diventare macchina di un fine secondario.
24 gennaio 2023